Si fa presto a dire “pizza e fichi”. L’espressione vuole indicare due alimenti poveri, di facile reperibilità, che chiunque può permettersi.
Sottolineare invece che ”non è mica pizza e fichi” vuol dire che non si tratta di una cosa da tutti. C’è questa nomea del fico, come elemento povero per eccellenza che andrebbe un po’ ridimensionata. Dovremmo avere molto più rispetto per la pianta e per il frutto.
Innanzitutto diciamo subito che il fico è la prima pianta coltivata dall’uomo; studi recenti hanno dimostrato come il fico venisse coltivato già 11.000 anni fa, mille anni prima dei cereali.
Originario della Caria, nell’Asia minore, da cui il nome botanico Ficus carica, si è diffuso in tutto il mondo grazie alla sua eccezionale resistenza al clima e ai parassiti. È tra le piante che si ammala di meno, non ha bisogno di potature, non teme quasi nulla e, in maturità, può produrre fino a sessanta chili (dicesi sessanta chili) di frutti.
Non è finita: l’apporto calorico dei suoi frutti è secondo solo all’uva e ai mandarini, ma il fico ha un asso nella manica inaspettato. Una volta essiccato perde circa il 30% del suo peso, ma triplica o addirittura quadruplica l’apporto calorico. Insieme al contenuto di vitamine e fibra, questo spiega perché il fico secco fosse uno dei cibi normalmente imbarcato (insieme alle noci) sulle navi di lungo corso: il massimo delle calorie con il minimo peso.
Il fico è la pianta da frutto più diffusa nel nostro Paese; una volta tutti ne avevano almeno uno. Ovvio: da solo, con i suoi frutti, freschi o essiccati, bastava a garantire la sopravvivenza a un’intera famiglia per oltre un mese. Scusate se è poco: mica pizza e fichi.